Juracamora
Il nome Juracamora è preso a prestito dallo scrittore Luigi Meneghello, ed è una contrazione di “Jura!” e “Ca móra!”, provocazione e testo di un giuramento infantile passato.
Questo quartetto fonde strumenti espressivamente distanti, fa improvvisare il classico fagotto e la chitarra, chiede alle percussioni etniche un sostegno orchestrale e un contrappunto al vibrafono.
Arricchisce a volte con un alter ego elettrico ed elettronico le chitarre e il vibrafono stesso.
L’incalzare di ritmi come l’afro, il latino, lo swing e i tempi balcanici d’origine asiatica, viene spesso miscelato a melodie e armonie sciolte e intense, e i due aspetti risaltano nel contrasto. In tutto ciò l’improvvisazione trova un suo campo ideale etnico-jazzistico, anche sfruttando le grandi possibilità timbriche offerte dai diversi strumenti.
La contaminazione tra musica etnica, classica e jazz è il genere specifico di questa particolare formazione. L’ensemble nasce dall’unione di musicisti con esperienze musicali anche molto diverse.
L’ampia scelta timbrica ed etnica (le percussioni, di diversa provenienza, danno veramente l’impressione di entrare in “altri” mondi, e il fagotto diventa sax, oboe, …) ha fornito gli spunti principali per i diversi arrangiamenti che risvegliano in ogni brano un clima di volta in volta differente, ma sempre riconducibile al gruppo.
Recensione quartetto Juracamora su “Musica jazz” - dicembre 2008
(Artesuono Art068, distr. Ird)
Tracce: Opening Butch / Irelica / Orizzonti diversi verso sera / Nebbia / Tetris / Pioggia d’agosto rinfresca il bosco / 2191 / Mimì / Amore a meta / Vie di Vienna / Butch
Formazione: Andrea Bressan (fag.), Saverio Tasca (vib., marimba), Roberto Gemo (chit.), Carlo Alberto Canevali (perc.).
Così
come il suo titolo (inedita contrazione di tre termini dialettali),
l’opera prima di questo quartetto triveneto evoca un percorso che
si prefigge di far incontrare l’antico e il nuovo, come suggerisce
anche la strumentazione: il pastoso contrappuntismo del fagotto di
Bressan coniugato con le delicate percussioni di Canevali; la densa
musicalità di Gemo accanto alle scintillanti armonizzazioni (e al
solismo) di Tasca. Ne risultano undici brani molto ben calibrati che
sanno fare sapiente sintesi delle precedenti esperienze dei quattro
musicisti: dall’etnojazz di Ar Men Trio fino alle raffinate
atmosfere del duo Tasca-Gemo.
Non si rinuncia alla melodia
(Orizzonti diversi verso sera) e nemmeno all’esplorazione di
territori più frastagliati – dove il fagotto sa proporre
situazioni persino inquietanti, non lontane da certo jazzrock di
marca anglosassone (Nebbia e Tetris) – o agli ammiccamenti alla
musica accademica del Novecento (il tema hindemithiano di 2191).
Insomma il tutto è pervaso da un sano eclettismo che, se da una
parte può essere letto come un limite alla definizione dell’identità
del progetto, dall’altra apre nuove vie da percorrere.
Vincenzo Giorgio
Dicembre 2008